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La nuova democrazia si presentò alle elezioni nazionali del 1999 in pieno fermento politico. La disoccupazione rimaneva altissima e fortissime erano le disuguaglianze di reddito; vicende di corruzione e cattiva amministrazione avevano destabilizzato la dirigenza dell’ANC, mentre la problematica dell’AIDS non aveva ancora trovato una risposta soddisfacente. In questo contesto venne eletto Thabo Mbeki, già vicepresidente nella legislatura precedente, mentre il ministero della salute passò alla Dott.ssa Manto Tshabalala-Msimang (uno dei membri fondatori del NACOSA).
L’entusiasmo iniziale, dettato dalle consultazioni del neo ministro con i vertici del NACOSA e delle industrie farmaceutiche, e dal viaggio in Uganda finalizzato alla conoscenza del progetto locale di MTCT, era destinato a durare poco.
Nel novembre del ’99 Mbeki comunicò al National Council of Provinces che, attraverso le sue ricerche su internet, aveva riscontrato la tossicità dell’AZT . Tshabalala-Msimang appoggiò il presidente in questa sua affermazione, rincarando addirittura la dose.
Il piano quinquennale anti-AIDS già predisposto dal Ministero della Sanità, venne privato della strategia di prevenzione della trasmissione materno-fetale, perdendo quindi gran parte della sua efficacia.
Riguardo alla presunta tossicità dei farmaci, non ci sono prove a livello internazionale, anzi, l’uso della nevirapina nelle donne incinte è caldamente consigliato dal WHO.
L’unico rischio in cui il paziente può incorrere si presenta solamente nel momento in cui il regime farmacologico non viene affrontato con costanza e precisione. L’altra obiezione governativa, ossia l’eccessivo costo della terapia, era invece fondata, ma è caduta all’indomani del processo di Pretoria (vedi 3.2).
La successiva creazione del SANAC (South African National AIDS Council) nel gennaio 2000, non fece altro che esasperare una situazione già critica. Dopo lo sgomento suscitato nel mondo dell’AIDS con le dichiarazioni sulla nevirapina, il governo creò un organismo privo di esperti del settore, trascurando associazioni come la TAC e organismi quali il MCC e il MRC.
Al posto della presenza di medici, scienziati e attivisti, venivano coinvolti due guaritori tradizionali e alcune celebrità : un vero e proprio schiaffo a coloro che speravano in un progetto definitivo ed efficace per debellare l’epidemia.
Al personale scetticismo di Mbeki riguardo all’AZT si aggiunse presto l’adesione a teorie scientifiche ormai superate, portandolo nell’area dei cosiddetti dissidenti.
Gli scienziati dissidenti propongono una teoria “non ufficiale” sull’AIDS, negando il legame diretto tra quest’ultimo e l’HIV; secondo la loro opinione, l’epidemia è causata da un virus di passaggio, e l’AIDS è provocato da un particolare stile di vita o dall’uso di droghe sintetiche, mentre l’aumento del tasso di mortalità nel continente deriva solamente dalla crescente povertà.
Il presidente sudafricano, insieme a celeberrimi dissidenti quali Peter Duesberg e David Resnik, istituì il Presidential International Panel of Scientists on HIV/AIDS in Africa all’inizio del 2000. La conseguenza del sostegno alle teorie dei “denialists” era la messa in discussione del ruolo stesso dei farmaci antiretrovirali, che combattevano il virus HIV: considerando la reticenza governativa alla loro fornitura, la situazione diventò molto più chiara. Aspre critiche al governo provennero dal mondo scientifico e non, tra cui quelle del giudice della Suprema Corte d’Appello del Sudafrica Edwin Cameron. Nel suo discorso annuale alla Harvard Law School dell’aprile 2003, ha affermato: “The cost in human lives and suffering of denialist – inspired equivocation in national AIDS policy can be described only as horrendus” .
La risposta alle critiche piovutegli addosso avvenne tramite una lettera aperta pubblicata dal The Washington Post il 19 aprile. Qui Mbeki sottolineò la coincidenza tra la fine dell’apartheid e lo scoppio dell’epidemia, inserendo l’evento in una cornice fatalistica; inoltre, secondo il presidente, il Sudafrica, avendo sofferto più di ogni altro paese le sofferenze causate dal dominio bianco, doveva auto-attribuirsi il ruolo di portavoce dei paesi africani. Infatti, nella poco condivisibile battaglia contro l’introduzione degli antiretrovirali e contro l’ammissione di trovarsi in una gravissima emergenza di sanità pubblica, vi erano elementi persecutori quali il tema della cospirazione contro gli africani e le loro aspirazioni di “rinascita”, ambizioso obiettivo sbandierato da Mbeki fin dalla sua elezione a presidente .
In concomitanza con l’apertura della XIII conferenza AIDS del 2000, la rivista Nature pubblicò quella che fu chiamata la dichiarazione di Durban, nella speranza di chiarire definitivamente la posizione degli scienziati riguardo all’AIDS; tra i 5000 scienziati che firmarono la dichiarazione, vi erano anche membri del Presidential Panel.
Il discorso inaugurale della conferenza spettava proprio al presidente sudafricano che, dopo la sua discutibile presa di posizione, aveva gli occhi del mondo puntati addosso. Mbeki non fece alcun riferimento alla dichiarazione di Durban, e aggirò la questione citando un rapporto dell’OMS datato 1995, affermando che la maggior causa di morte nel mondo era l’estrema povertà. Nel discorso di chiusura l’ex presidente Mandela regalò invece una speranza a tutti gli ammalati, auspicando un intervento su larga scala nella prevenzione MTCT e incoraggiando il Sudafrica a seguire l’esempio delle success story ugandese o senegalese. La speranza però era solo un’illusione, perché Mbeki non è tornato sui suoi passi.
La sua posizione peggiorò e rischiò di sancire la definitiva spaccatura del governo, quando alcuni membri del COSATU e del SACP (South African Communist Party) dichiararono pubblicamente l’inconfutabilità del legame tra HIV e AIDS.
Mbeki attuò allora una ritirata strategica dal dibattito sull’AIDS, mentre in quegli stessi mesi veniva pubblicato il primo rapporto del Panel. Il rapporto cancellava tutti i progressi fatti nel campo dell’educazione e dell’informazione, mettendo anche in discussione la validità del test ELISA.
Ben presto però il suddetto rapporto venne oscurato da un evento d’importanza capitale: il processo di Pretoria.
Il processo di Pretoria si collocava al termine di una lunghissima disputa tra lo stato sudafricano e le maggiori industrie farmaceutiche, iniziata nel 1997.
Il 31 ottobre del 1997 il Parlamento sudafricano aveva approvato un emendamento di legge, il Medicines and Related Substances Control Emendament Act, che permetteva la produzione locale, o l’acquisto sul mercato internazionale, di farmaci sotto nomenclatura generica anche quando i diritti legati al loro brevetto commerciale erano ancora in vigore.
Tale legge era bloccata dal 18 febbraio del 1998 a causa di una procedura giudiziaria intentata dall’Associazione farmaceutica sudafricana (PMA) e da 39 tra le maggiori case farmaceutiche europee ed americane.
Nel 1999 Medicines Sans Frontieres (MSF) aveva lanciato una campagna internazionale per promuovere un più facile accesso alle popolazioni più povere ai farmaci essenziali, tra cui quelli antiretrovirali. Sulla scia di quest’iniziativa, il governo sudafricano aveva manifestato l’intenzione di presentare ricorso alla legge del 1997 per acquistare farmaci antiretrovirali dalla Cipla, un’industria farmaceutica indiana. La Cipla produceva tre farmaci(Lamivudina, Stavudina e Nevirapina) e li commercializzava con il nome generico ad un prezzo nettamente inferiore da quello imposto da Glaxo-Wellcome, Bristol-Myers Squibb e Boeringher Ingelheim.
La Cipla offriva il trattamento antiretrovirale ai paesi poveri a 600 dollari l’anno per paziente, in più forniva lo stesso a MSF alla cifra ancora più modica di 350 dollari; paragonare queste cifre ai 20.000-30.000 dollari annui necessari in Europa e negli Stati Uniti evidenzia la portata della questione.
Gli argomenti esposti dalle case farmaceutiche erano due:
1- i prezzi di vendita dei farmaci miravano al recupero dei costi della ricerca; prezzi più bassi avrebbero ucciso la ricerca stessa, impedendo la sintesi di nuovi e più potenti farmaci;
2- la sintesi e l’acquisto di farmaci ancora protetti dalle norme sui brevetti violavano le leggi internazionali sul commercio.
Entrambi gli argomenti facevano acqua. Innanzi tutto, i profitti delle maggiori case farmaceutiche erano a dir poco astronomici, con cifre globali che superavano i 400 miliardi di dollari l’anno. In più, i colossi farmaceutici non erano gli unici istituti che investivano grandi somme nella ricerca: organizzazioni internazionali, governi e istituti universitari avevano sempre dato il loro contributo.
Per quanto riguardava la violazione dei diritti di proprietà intellettuale e dei brevetti, il governo sudafricano aveva semplicemente fatto ricorso ad una clausola presente nel TRIPS (Trade related aspects of intellectual property rights) chiamata “Compulsory licensing”. Questa clausola permette al governo di un paese, in situazioni d’emergenza sanitaria, di autorizzare un’industria farmaceutica a produrre farmaci ancora protetti da brevetto o ad acquistarli da chi li produceva a prezzi inferiori. Il timore maggiore delle case era dettato dal grado di sviluppo dell’infrastruttura industriale del Sudafrica, l’unico insieme all’Egitto ad aver le potenzialità di diventare il più grande fornitore di farmaci anti-AIDS in tutto il continente.
Il processo aveva scatenato un coro di critiche e attacchi rivolti ai colossi della farmaceutica. Per evitare un danno d’immagine di proporzioni incalcolabili, nelle settimane precedenti e seguenti il processo, numerose case avevano annunciato l’intenzione di abbassare drasticamente il prezzo dei farmaci oggetto della disputa.
Negoziazioni erano state intraprese con vari governi africani, poiché, un precedente fissato dall’eventuale vittoria in tribunale del governo sudafricano, avrebbe potuto avere gravissime conseguenze.
Per tutte queste ragioni il 18 aprile, giorno del processo, le case farmaceutiche annunciarono il loro ritiro, sancendo la vittoria della TAC (che era stata coinvolta per difendere le ragioni dei malati) e del governo. Per la prima volta governo e attivisti potevano festeggiare insieme, ma la doccia fredda non tardò molto ad arrivare.
Pochi giorni dopo, il ministro Tsabalala-Msimang annunciò che il costo dei farmaci rimaneva insostenibile per il governo e che le infrastrutture necessarie alla loro distribuzione erano carenti, oltre alla persistenza dei dubbi sulla loro tossicità.
L’insistente appoggio presidenziale e l’inutilità della vittoria nel processo di Pretoria divennero chiari 6 giorni dopo quest’ultimo, quando Mbeki tornò a parlare pubblicamente di AIDS in televisione. Il presidente affermò di non essere preparato ad affrontare un pubblico test HIV perché ciò avrebbe significato sostenere un “particolare” punto di vista scientifico. Nelle sue parole, ‘I go and do a test – I am confirming a particular paradigm’ . Mbeki ribadì poi l’insicurezza dei farmaci anti-HIV: ’I think it would be criminal if our government did not deal with the toxicity of these drugs(…)Let’s stop politicizing this question, let’s deal with the science of it’ .
Gli attivisti pensarono, giustamente, di essere stati strumentalizzati per sconfiggere le case farmaceutiche da qualcuno che aveva obiettivi ben diversi dai loro.
Infatti, la battaglia per la fornitura di nevirapina per prevenire il contagio dalla madre al bambino al momento della nascita era ancora in corso, sebbene numerosi studi scientifici avessero già dimostrato l’efficacia di questa terapia. L’UNAIDS aveva sostenuto che non c’erano ‘justification to restrict use to research settings’ e che la prevenzione MTCT era indispensabile nella lotta all’epidemia. Con una stima di 5000 nascite di bambini sieropositivi ogni mese, la possibilità di prevenire 30000 infezioni da HIV ogni anno rappresentava una discreta base di partenza. La Boeringher Ingelheim, industria produttrice del farmaco, si era offerta di rifornire gratuitamente per un periodo di 5 anni i paesi in via di sviluppo, ma ci furono ritardi nella registrazione della nevirapina, avvenuta solamente nell’aprile 2001 da parte del MCC. Persino il limitato programma d’applicazione della MTCT in due siti pilota per ciascuna provincia, proposto dal DOH, rimase incompiuto per questioni burocratiche.
Nonostante i continui rinvii, in una provincia non controllata dall’ANC, bensì dal New National Party, già da due anni si forniva l’AZT in alcune cliniche ostetriche delle township nere (vedi 2.3). La suddetta provincia, la Western Cape, passò sotto il controllo del Democratic Alliance Party nel gennaio 2001 e vide estendere la prevenzione MTCT ad un numero maggiore di cliniche. Intanto nella township di Khayelitsha, a Cape Town, venne istituito il primo sito pilota provinciale per la fornitura della terapia antiretrovirale, grazie all’azione dei MSF .
Un altro argomento spinoso e legato alla diffusione dell’HIV/AIDS è il problema degli stupri e il cosiddetto “virgin rape myth”: secondo questa leggenda, avere rapporti sessuali con una vergine ha effetti curativi nei confronti dell’HIV.
Oltre ad essere una categoria molto “ambita” per l’appetibilità a livello meramente sessuale , lo è altresì anche per l’essere considerata una categoria a basso tasso di contagio: il rischio per le giovani ragazzine quindi è doppio.
In Sudafrica la violenza sessuale sulle donne è un fenomeno molto diffuso a causa di alcuni modelli tradizionali che rendono nullo il loro potere decisionale. Questa mancanza di potere fa sì che obbligare una donna ad avere un rapporto sessuale non venga considerato stupro, oppure che la donna non possa in alcun modo richiedere un rapporto “protetto”. Nel 2000 si calcolava che l’80% delle donne residenti in zone rurali subisse forme di violenza domestica, comprese quelle sessuali , mentre il 40% delle vittime ricadeva nella fascia d’età 0-17 anni. Paradossalmente proprio il Sudafrica possiede una delle costituzioni più moderne ed evolute riguardo alla tutela dei diritti delle donne. Nonostante questo, ben poco è stato fatto dal punto di vista delle campagne informative per distruggere tale mito, sia da parte del governo sia da altre figure di rilievo, quali capi-tribù o guaritori tradizionali, sempre per il timore che i discorsi sull’AIDS possano offendere il potere costituito.
Il Parliamentary Joint Standing Commitee on the Improvement of the Quality of Life and Status of Women, dominato dalle donne dell’ANC, in un rapporto pubblicato il 14 novembre 2001, raccomandò la fornitura di antiretrovirali non solo per le vittime di stupro e per la prevenzione MTCT, ma anche, sull’esempio del Brasile, su scala nazionale.
Gli interventi riguardo al problema degli stupri continuavano, però, ad avere esiti differenti all’interno del paese. Da un lato c’era l’esperienza di Khayelitsha, dove le autorità iniziarono a fornire accoglienza ed assistenza alle vittime di violenza, dall’altro, nella provincia di Mpumalanga, un organismo gestito da donne nere volontarie, il GRIP , venne ripetutamente vessato dal ministro della salute provinciale. Quest’ultimo, Sinbogile Manana, aveva addirittura accusato il GRIP di avvelenare la popolazione nera.
Da tutti questi avvenimenti, risultava chiaro come l’appello di Mbeki a depoliticizzare l’AIDS fosse destinato a cadere nel vuoto. Fu ancora lui a sminuire la portata del problema in un’intervista rilasciata durante un programma televisivo della BBC.
Il presidente ripeté che il virus era solo uno dei fattori che aggravavano le malattie vessanti il paese e che il governo voleva dare una risposta onnicomprensiva. Di fronte alle previsioni che indicavano 7 milioni di morti per AIDS nei successivi dieci anni, stavolta Mbeki additò la violenza come prima causa di morte nel paese, con un’incidenza del 54% sul totale. Ancora una volta il presidente si basava su dati obsoleti, vecchi di una decina d’anni, quando ancora l’infezione da HIV marciava a ritmi nettamente più lenti. Lo stesso si poteva dire per i dati dell’OMS del 1995 che stimavano al 2,2% del totale le morti per AIDS.
Va ricordato che i certificati di morte non costituiscono mai un riferimento affidabile, in quanto i medici non sono obbligati ad indicare la presenza dell’HIV/AIDS nei decessi causati da polmonite o tubercolosi. Detto ciò, le stime sono inferiori all’effettiva incidenza.
Chi invece comprendeva e poneva l’accento sulla drammaticità della situazione era il MRC che, con uno studio sul biennio 1999-2001, metteva l’AIDS in testa alle cause di morte in Sudafrica. La percentuale era del 25% e raggiungeva addirittura il 40% nella fascia d’età 15-49 anni. Queste statistiche insieme alle affermazioni del presidente del MRC , nonché membro del Presidential Advisory Panel professor Malegapuru Magkoba, risultarono sgradite al governo.
L’ennesimo contrasto con il COSATU inasprì ulteriormente lo scenario politico. Il partito alleato, in una campagna sostenuta con l’appoggio della TAC e di alcuni leaders religiosi, chiese maggiori investimenti nella lotta contro l’epidemia. Alla luce dei dati del MRC, accusò il governo di negare l’evidenza, e insistette affinché venisse dichiarato lo stato d’emergenza nazionale.
A differenza del COSATU, chi abbandonò i tentativi di convincimento e decise di intraprendere un’azione legale, fu la TAC.
Dopo quattro anni spesi nel tentativo di convincere il governo ad istituire un programma di prevenzione MTCT, la TAC citò in giudizio il ministro della sanità nazionale e i 9 ministri della salute provinciali. Il processo iniziò il 26 novembre 2001 con l’iniziale richiesta di un programma a base di nevirapina su tutto il territorio nazionale. Il presidente della TAC, Mike Heywood, riteneva deplorevole dover citare in giudizio il proprio governo per l’affermazione del diritto costituzionale alla vita, ma, allo stesso tempo, era diventata un’azione indispensabile. Il governo continuava invece a nutrire dubbi sull’innocuità del farmaco e prendeva in considerazione le implicazioni economiche di un simile programma (pur stanziando paradossalmente fondi massicci per l’acquisto d’armi), oltre ad osteggiare l’ingerenza della Corte nelle questioni di politica sanitaria.
La questione in realtà era molto più complessa e gli attori coinvolti erano numerosi, come dimostrato dal rapporto redatto dalle donne dell’ANC e dalle proteste provenienti dagli alleati del COSATU e dagli attivisti nella lotta all’AIDS.
La sentenza del giudice Chris Botha del 14 dicembre 2001 sancì la vittoria della TAC. La Corte ordinò, infatti, allo Stato l’istituzione dell’uso della nevirapina in tutte le strutture sanitarie pubbliche con l’obbligo di presentare alla Corte stessa entro il 31 marzo 2002 un piano finalizzato all’ampliamento di questo progetto .
Come ampiamente previsto, il governo, e in particolar modo il ministro Tsabalala-Msimang, spinse per il ricorso in appello contro questa decisione, sostenendo che, benché il diritto alla salute dei bambini fosse indiscutibile, quello alla nevirapina o ad altri trattamenti specifici non era affatto presente nella costituzione. La Constitutional Court aveva però il potere di costrizione nei confronti dell’esecutivo e, di fronte ai palesi benefici apportati dalla terapia trivalente, non poteva far altro che respingere la richiesta d’appello (4 aprile 2002).
Lo scandalo che coinvolse il MEC del Northern Cape aggravò ulteriormente l’immagine del governo. Un ospedale di Kimberley aveva somministrato ARVs ad un bambino di soli nove mesi perché era stato stuprato. Il MEC aveva sorprendentemente criticato l’operato dell’ospedale accusando di violare la legislazione sanitaria del paese, la quale vietava la somministrazione di ARVs alle vittime di stupro.
L’atrocità di questo e di altri incidenti spinse la maggiore associazione di medici sudafricani, la SAMA , a scendere in campo contro le decisioni dell’esecutivo.
I 17.000 medici dell’associazione, operanti per la maggior parte in strutture pubbliche, appoggiavano i propri membri che sceglievano di somministrare ARVs alle vittime di stupro, ponendo giustamente l’etica al di sopra della politica governativa.
Gli attacchi che più preoccupavano Mbeki rimanevano sempre quelli dei propri alleati politici e di figure carismatiche quali Mandela e l’arcivescovo Desmond Tutu. Persino l’ex presidente degli Stati Uniti Jimmy Carter, in visita nel paese in quel periodo, rilevò come il Sudafrica, pur essendo tra i paesi più sviluppati del continente africano, non lo fosse altrettanto nella prevenzione e lotta all’AIDS.
Tutte queste voci di opposizione riponevano le loro speranze nel National Executive Committee (NEC) dell’ANC tenutosi nel marzo 2002. La relazione del NEC troncò qualsiasi possibilità d’estensione nella fornitura di ARVs. Ancora una volta il governo si ostinava a dubitare dell’efficacia scientifica del trattamento, questa volta riferendosi alle vittime di stupro o verso chi veniva punto da un ago infetto. La volontà di affidarsi al lavoro del Presidential Panel, aggiunta alle affermazioni precedenti, fece pensare ad una vendetta contro la SAMA. Addirittura durante le riunioni dell’ANC venne fatto circolare un documento in cui veniva esposta la visione degli scienziati dissidenti fondamentalisti. Questo documento dal titolo ‘Castro Hlongwane, Caravans, Cats, Geese, Foot & Mouth, and Statistics: HIV/AIDS and the Struggle for Humanization of the African’ affermava, tra le altre cose, che il test ELISA era fasullo, che gli ARVs erano velenosi, che la povertà e il sottosviluppo erano le vere cause dell’epidemia, oltre alla teoria della cospirazione contro il popolo africano.
Insomma niente di nuovo, compresa la confusione generata nel dibattito sul virus.
La vittoria nel processo di Pretoria e la temporanea alleanza attivisti-governo iniziavano già ad essere un vago ricordo. Il governo era sempre più lacerato al suo interno e l’elettorato era fortemente deluso e si era già reso conto che “The honeymoon of Mandela era is over. We’re all discovering that politics is a rough and often dirty business” .
Il 17 aprile 2002, tuttavia, parve che la svolta da parte del governo fosse vicina: in seguito alla discussione del Gabinetto, venne emanato un documento nel quale venivano fatte delle dichiarazioni molto importanti. Partendo dalla premessa che la causa dell’AIDS risiedeva nel virus dell’HIV (legame costantemente messo in dubbio fino a quel momento), e insistendo sul fatto che, comunque, la prevenzione rimaneva un elemento di fondamentale importanza, il governo affermava anche che la somministrazione di una cura antiretrovirale poteva costituire una soluzione efficace nella riduzione del virus. Si riprometteva, quindi, oltre a sviluppare i progetti sulla riduzione della MTCT appena cominciati, anche a continuare la contrattazione con le aziende farmaceutiche per la riduzione dei prezzi dei farmaci , considerando, tra l’altro, la possibilità di produrre farmaci generici. Inoltre, si profilava un nuovo intervento finalizzato alla fornitura di un adeguato pacchetto di cure, compresi gli ARVs, come profilassi nei casi di stupro .
Il nuovo corso della politica sul tema dell’AIDS testimoniava il bisogno di un nuovo approccio riguardo alla questione da parte delle istituzioni, compreso il presidente. Mbeki, per raggiungere i suoi obiettivi in campo internazionale, doveva gettarsi alle spalle questa controversia, in modo da distogliere l’attenzione dei media dalla sua politica sull’AIDS. Il COSATU, alla luce di questa nuova linea intrapresa, chiese al governo di ritirare la richiesta d’appello presentata alla Constitutional Court.
La richiesta, però, rimase inascoltata, e ciò sottolineava come le buone intenzioni del governo non trovassero poi riscontro in azioni concrete.
La sentenza della Corte del 5 luglio negò al governo la possibilità di ricorrere in appello e rappresentò una vittoria di capitale importanza per la TAC. Oltre ad obbligare in via definitiva l’esecutivo all’istituzione di un programma nazionale di terapia ARV, la sentenza dimostrava come fosse perfettamente legale, e giusto, rivolgersi alla Corte nei casi di violazione governativa dei diritti costituzionali.
Tuttavia, la diffusione della nevirapina rimase sporadica e venne estesa solo alle province del Kwazulu-Natal, al Western Cape e al Gauteng, mentre nelle sei province restanti rimase limitata ai siti pilota. Infatti, la TAC denunciò la MEC per la salute del Mpumalanga, la dott.sa Sibongile Manana, per mancato adempimento degli obblighi sanciti dalla sentenza .
Un altro caso esemplare dell’inefficienza governativa fu la richiesta di dimissioni del ministro Manto Tshabalala – Msimang, poiché ritardava volontariamente l’accettazione dei finanziamenti stanziati dal Fondo globale per la lotta all’Aids, la tubercolosi e la malaria, da parte della Chiesa sudafricana. La denuncia proveniva dall’arcivescovo di Cape Town Ndungane, secondo cui il ministro della Salute sarebbe stato responsabile di ritardare lo stanziamento di 60 milioni di euro promessi dal Global Fund per combattere l’HIV nella provincia di KwaZulu -Natal, la più colpita dal virus. Il ritardo era stato scoperto durante la 14 esima conferenza mondiale sull’Aids di Barcellona: i fondi erano pronti, ma perché arrivassero al destinatario mancava una lettera di accettazione da parte del ministro della Salute sudafricano.
La battaglia tra governo e attivisti, dunque, era tutt’altro che terminata. Durante il National Treatment Congress, tenuto dalla TAC e dal COSATU nel giugno 2002, venne redatta una richiesta per un piano terapeutico nazionale, comprendente gli antiretrovirali, successivamente esposta al NEDLAC (National Economic Development and Labour Council). Quest’ultimo aveva il compito di negoziare un accordo tra il binomio TAC-COSATU e il governo. L’accordo firmato nel giorno della giornata mondiale dell’AIDS, il primo dicembre, fece emergere nuovi contrasti e non risolse la situazione. La TAC sosteneva che l’accordo firmato prevedeva l’applicazione del testo sancito il 29 novembre, il governo, invece, negava ogni accordo, sostenendo di dover ancora verificare le implicazioni finanziarie del piano e di dover controllare le infrastrutture necessarie. Insomma, prima dei suddetti controlli, il governo non avrebbe avviato alcun piano riguardante la terapia ARV.
A questo scenario poco incoraggiante si aggiunse il ritorno sulla scena politica dei dissidenti. Il dott. Roberto Giraldo, un nutrizionista statunitense, venne invitato, nel novembre del 2002, ad esporre le proprie teorie presso il Department of Health, e ad un congresso dei ministri della salute della Southern African Development Community (SADC) nel gennaio 2003. La sua posizione, alquanto radicale, sostiene che le ricerche effettuate sinora siano eccessivamente incentrate sul sesso che, secondo la sua opinione, poco ha a che fare con l’AIDS. L’epidemia può essere trattata, e sconfitta, tramite una dieta appropriata. Il ministro della salute accolse con entusiasmo questa teoria e lanciò un programma di nutrizione basato su aglio ed olio d’oliva, ritenuti fondamentali per il rafforzamento del sistema immunitario.
Giunti a questo punto, la TAC lanciò la propria campagna di disobbedienza civile, già ventilata da diverso tempo.
La campagna di disobbedienza civile, iniziata il 20 marzo 2003, era l’unica arma rimasta agli attivisti, furiosi per l’ostinata condotta del governo. Dal canto suo, il COSATU, preferì non aderire adottando una linea neutrale, pur confermando il suo pieno appoggio alla TAC.
Le richieste degli attivisti erano le seguenti:
1- ‘assumersi un irreversibile e inequivocabile impegno politico per la creazione di un programma di trattamento antiretrovirale diretto al settore pubblico’;
2- ‘ritornare alle negoziazioni del NEDLAC, e impegnarsi a sostenere il “Framework Agreement” con fondi e forza lavoro in un piano nazionale di trattamento e prevenzione’ .
Tra il 20 marzo e il primo aprile le prime azioni di disobbedienza ebbero luogo presso le stazioni di polizia di Durban, Cape Town e Sharpeville. L’accusa rivolta al ministro della salute, e a quello di commercio e industria, era quello di omicidio colposo per il mancato rilascio delle autorizzazioni obbligatorie per l’utilizzo dei farmaci antiretrovirali. La protesta non sarebbe stata smobilitata fino all’arresto dei suddetti ministri. Molti dimostranti vennero arrestati, mentre altri furono oggetto di cariche e lancio di lacrimogeni da parte delle forze di polizia.
Il secondo “round” della campagna coincise con l’organizzazione di un International Day of Action per il 24 aprile. La TAC ricevette, in questa occasione, l’appoggio degli attivisti in diverse parti del globo. Anch’essi appoggiavano le richieste formulate dalla TAC, e inscenarono diverse forme di protesta. A Nairobi, in Kenya, gli attivisti tennero una conferenza stampa di solidarietà verso la TAC; a Tokyo, 600 gru di carta, rappresentanti le 600 vittime per AIDS al giorno del Sudafrica, vennero appese sul muro dell’ambasciata sudafricana. Allo stesso modo, ad Amsterdam l’ambasciata venne ricoperta di 600 tulipani rossi, a Milano e a Los Angeles vennero poste 600 paia di scarpe davanti al suo ingresso; a Londra 25 paia di scarpe all’ora venivano lasciate davanti alla South Africa House mentre a Parigi venivano esposti cartelli recanti la scritta ‘wanted’ per i ministri Erwin e Tsabalala-Msimang .
Nel frattempo, ci furono manifestazioni non autorizzate e spontanee a Durban, East London e Nelspruit. A Tshwane, invece, i dimostranti si presentarono di fronte ai cancelli del DOH e se ne andarono solo quando il direttore generale del dipartimento si presentò alla folla. Egli promise che entro la fine di aprile il rapporto sui costi del programma sarebbe stato ultimato. A Cape Town i dimostranti vennero arrestati dopo aver minacciato di occupare il DTI (Department of Trade and Industry) per tutta la notte. Gli attivisti avevano minacciato l’occupazione perché era stato impedito loro di parlare col ministro, con il suo vice e con il direttore generale del dipartimento.
Il governo era in seria difficoltà, e l’ampia copertura riservata alla campagna dai media contribuiva ad aumentare il suo imbarazzo.
La TAC sospese la propria campagna il 29 aprile, in previsione di un incontro con il SANAC (South African National AIDS Council),’in the interest of ensuring the fullest opportunity for government to prove its good faith and to demonstrate that the TAC’s campaign is about saving lives’ .
Nonostante questo, fu necessaria un’imponente manifestazione degli attivisti a Durban, verso la fine di luglio, per ottenere una risposta convincente dalle istituzioni. L’otto agosto il Consiglio dei ministri diede al Department of Health l’incarico di sviluppare, entro un mese, un piano per la fornitura di ARVs nel settore pubblico.
Il Gabinetto approvò, inoltre, i risultati del Joint Health and Treasury Task Team, secondo i quali da 500.000 a 1,7 milioni di vite sarebbero potuto essere salvate tramite la terapia ARV.
Negli stessi giorni, dopo un ritardo di ben 18 mesi, la fatidica firma per il finanziamento promesso da parte del Fondo Mondiale veniva apposta dal governo e dai rappresentanti dell’istituzione del GFATM, con l’accordo per il rilascio di 41 milioni di dollari da utilizzare nel programma nazionale di lotta all’AIDS.
Con l’adozione dell’Operational Plan for Comprehensive Treatment and Care for HIV and AIDS del 19 novembre 2003, la TAC sospendeva formalmente, per la seconda volta, la sua campagna di disobbedienza.
L’ottimismo iniziale della TAC era destinato, per l’ennesima volta, a tramutarsi in rabbia e frustrazione. Nel febbraio del 2004 il Department of Health annunciava che i farmaci non sarebbero stati disponibili prima di luglio, mentre in alcune province, come la Western Cape, il settore pubblico era già pronto a partire e in alcuni casi l’aveva già fatto utilizzando i propri fondi. Proprio il Western Cape, grazie a donazioni di privati e a fondi del Global AIDS Fund, forniva la terapia trivalente in 16 siti. Vista la lentezza del Plan, la TAC minacciò nuovamente di denunciare il ministro della salute che, per evitare ulteriori scandali, dichiarò che entro aprile i fondi sarebbero stati disponibili.
Oltre alla carenza di fondi e farmaci, il servizio sanitario nazionale deve affrontare altri problemi oramai “storici”. Uno di questi è la carenza di personale medico e paramedico, causato dal cosiddetto “brain drain” (vedi 1.3). In media, circa 300 infermieri lasciano il paese ogni anno; un quarto dei medici laureatisi tra il 1990 e il 1999 ha già lasciato il paese. Lo stipendio base di un’infermiera diplomata, dopo quattro anni di studio, è di 296 dollari, circa un terzo di quello di una collega canadese: ecco una delle principali cause del “brain drain”. Considerando che il Sudafrica dispone di circa 18.000 medici, e di un medico ogni 1.684 abitanti , l’emorragia descritta risulta drammatica. L’”importazione” di 30 medici cubani nel luglio del 2003 poteva essere solamente un palliativo poco efficace.
Il sospetto diffuso era che il lancio dell’Operational Plan fosse, in realtà, un mezzo di propaganda elettorale per le elezioni del 14 aprile 2004. Nella provincia del Gauteng il portavoce del ministero della salute provinciale rimarcò il clima entusiastico scaturito negli ospedali dalle visite delle autorità. Il suddetto portavoce dimenticava, però, che né Mbeki, né Tshabalala-Msimang erano presenti alla cerimonia di lancio del programma nella provincia. I sospetti circa la volontà governativa di rassicurare gli scettici in vista delle elezioni era, dunque, ben fondato.
I risultati raggiunti dal Plan erano lontanissimi dalle promesse iniziali. Entro marzo 2004 il governo si era impegnato a fornire la terapia trivalente a 53.000 pazienti ma, alla fine di ottobre 2004, solo 15.000 ammalati hanno ricevuto il trattamento.
Inoltre, la TAC affermava che il Plan faceva riferimento ad un documento, l’Implementation Timetable, meglio conosciuto come Annexure A, che non era mai stato reso pubblico. Questo documento conteneva informazioni circa il numero di pazienti che ogni clinica sarebbe stata in grado di curare, le date di inizio dei programmi di trattamento, e il numero di medici e paramedici su cui gli ospedali avrebbero potuto contare per incrementare lo sviluppo del programma.
Poiché la Costituzione sudafricana sanciva il diritto al libero accesso ad ogni informazione riguardante lo Stato, la TAC, vistasi negare questo diritto per ben otto mesi, decise di far causa al ministro della sanità (18 giugno 2004).
Nel settembre 2004 arrivò la risposta del Department of Health che asseriva che il documento, in realtà, era solo una bozza e, quindi, non era mai stato ufficialmente adottato. Secondo il DOH, tutti i riferimenti a tale allegato all’interno dell’Operational Plan non erano che errori non corretti da parte del governo .
La TAC, pur accettando la risposta del DOH, continuò la sua battaglia.
Il 4 novembre chiese, infatti, il risarcimento dei danni da parte del ministro della salute alla Pretoria High Court. Le accuse rivolte al ministro erano quelle di aver contribuito a ritardare il procedimento e di essersi rifiutata di comunicare con gli attivisti. Oltre a questo, la TAC richiedeva al governo di rendere pubblico il documento o di svilupparne uno nuovo.
In dicembre la Corte condannò Tshabalala-Msimang al risarcimento dei danni, poiché il ministro aveva avuto almeno 11 opportunità di informare la TAC sulla natura dell’Annexure A, ma le aveva palesemente ignorate .
Gli attivisti accolsero con gioia una sentenza che non aveva precedenti. Il diritto dei cittadini all’informazione era così garantito, e il governo era costretto ad agire in modo trasparente.
Intanto, la data prevista per il raggiungimento di quota 53.000 pazienti trattati con la terapia ARV slittava da marzo 2004 a marzo 2005, confermando come l’applicazione dell’Operational Plan procedesse a rilento. Inoltre, 45.000 pazienti venivano trattati in cliniche private, e ciò accresceva le disuguaglianze sociali. La maggior parte delle persone curate nel settore pubblico proveniva dalle province più ricche, cioè da Gauteng e Western Cape. Insomma, solo chi vive in una condizione agiata o ha la fortuna di abitare nelle province con una più alta disposizione di fondi ha accesso ai farmaci. Il National Executive Committee della TAC, per questo motivo, decise, in una risoluzione del 24-25 gennaio 2005, di lanciare una campagna per l’estensione del trattamento antiretrovirale a 200.000 pazienti entro l’inizio del 2006.
Secondo gli attivisti, erano cinque le ragioni per cui l’Operational Plan aveva fallito i suoi obiettivi principali:
1. ancora pochissimi ospedali fornivano trattamenti antiretrovirali, in particolare nelle zone rurali;
2. la fornitura di farmaci era sporadica e irregolare, principalmente a causa dello scarso “commitment” da parte del DOH;
3. il personale medico e paramedico nelle strutture pubbliche era decisamente insufficiente, a causa di salari poco competitivi, condizioni lavorative pessime e prospettive di carriera pressoché nulle;
4. applicazione scarsa del test ELISA;
5. l’informazione sull’HIV/AIDS era rimasta, dopo anni, confusa, elemento sottolineato dal ritorno sulla scena politica dei dissidenti.
La THO (‘Traditional Healers’ Organization’) e la fondazione del dottor Matthias Rath organizzarono, il 23 novembre 2004, una manifestazione presso gli uffici della TAC a Johannesburg. Entrambe le associazioni, appartenenti al ramo dei dissidenti, rivolgevano agli attivisti un’accusa precisa: promuovere solo l’uso degli antiretrovirali nella lotta all’AIDS ignorando i benefici apportati dalla medicina tradizionale.
Il dottor Rath, già diffidato dalla promozione dei suoi prodotti negli U.S.A e in Europa, aveva avviato una campagna pubblicitaria sulle sue vitamine sui maggiori giornali sudafricani. Egli riteneva di aver trovato diverse terapie naturali in grado di sconfiggere alcune malattie, inoltre, i suoi articoli accusavano il MCC di essere al soldo delle industrie farmaceutiche. Gli articoli di Rath diventavano col tempo sempre più oltraggiosi, arrivando a contestare l’efficacia degli ARVs, definendoli tossici, e affermando con forza l’efficacia dei complessi multivitaminici nella cura all’AIDS.
Fu il ministro della salute a bloccare il MCC dall’intentare causa contro il medico dissidente.
Un altro attacco venne lanciato dalla frangia dei dissidenti il 17 dicembre sul settimanale ANC Today. Nell’articolo, intitolato ‘Nevirapine, Drug & African Guinea-Pigs’, veniva denigrato il programma governativo di prevenzione MTCT, sostenendo che la dose somministrata a madre e figlio al momento del parto potesse causare resistenza al farmaco, precludendo future possibilità di cura . Ovvia l’insurrezione degli attivisti che dichiararono: ‘The writer of the article is either confused or deliberately trying to mislead; his or her views contradict ANC and government policy.’
L’aggravante a quest’articolo è che l’editoriale del settimanale viene curato personalmente dal presidente Thabo Mbeki.
La battaglia contro il sedicente dottor Rath proseguì. UNICEF, UNAIDS e WHO negarono fermamente le affermazioni di quest’ultimo, secondo il quale le sue teorie e terapie anti-AIDS si ispiravano alle linee guida delle tre organizzazioni. In aggiunta a ciò, ribadirono che la terapia ARV era indispensabile per sconfiggere il virus, e che i complessi vitaminici abbinati ad una buona dieta costituivano solamente un valido supporto ad essa, non potendo essere l’unica forma di cura .
La TAC decise di citare in giudizio il dottore “dissidente”, considerate le pesanti ed infamanti accuse ricevute e le iniziative illegali intraprese dalla sua fondazione. A Khayelitsha e Nyanga, infatti, aveva creato delle strutture dove i suoi collaboratori vendevano prodotti che, tra l’altro, avevano prezzi tutt’altro che convenienti. I suoi famosi pacchetti multivitaminici partivano dalla cifra di 180 Rands al mese, sino ad arrivare addirittura a 3.500 Rands mensili . Va ricordato che nelle farmacie sudafricane suddetti complessi costano all’incirca 62 Rands il mese, mentre negli ospedali vengono forniti gratuitamente ai pazienti. Quest’azione era illegale, in quanto Rath non era iscritto all’Health Professionals Council of South Africa (HPCS).
Oltre a tutto ciò, Rath, per scopi pubblicitari, aveva fotografato alcuni suoi pazienti seminudi, e sul suo capo pendevano numerose accuse in diverse parti del mondo, tra cui quella della morte di un ragazzo in Germania.
Tra le accuse rivolte alla TAC vi erano quelle di pagare coloro che partecipavano alle manifestazioni, e di ricevere fondi dalle aziende farmaceutiche tramite l’AIDS Foundation of South Africa.
Durante lo stesso periodo, tre donne affette dal virus dell’HIV citarono in giudizio il leader del partito ID (Independent Democrat) Patricia De Lille e il giornalista Charlene Smith, rei di aver violato la loro privacy. Il giornalista, infatti, aveva scritto nel 2002 una biografia sulla De Lille, citando i nomi delle tre donne col relativo status di sieropositività. A nulla era servita la richiesta di cancellazione dei propri nomi da parte delle tre donne. L’umiliazione, gli abusi e la paura di essere stigmatizzate danno una fotografia estremamente reale della condizione dei sieropositivi, in particolare quando si tratta di donne povere. Sorprende molto il fatto che sia proprio un leader politico femminile ad aver violato la loro privacy, pur conoscendo la gravità di questo problema.
L’ennesimo confronto attivisti-dissidenti si svolse nell’arena televisiva, al Tim Modise Show. Il delegato della TAC, Geffen, mise a nudo la povertà di argomenti dei “denialists”, rappresentati da un membro della Rath Foundation, Brink .
Bisognò attendere la sentenza dell’Alta Corte di Cape Town per registrare una vittoria concreta degli attivisti. Il dottor Rath venne interdetto dal rivolgere le sue accuse alla TAC, tra cui quella di essere al soldo delle industrie farmaceutiche e ricevere fondi da quest’ultime. L’integrità e indipendenza della TAC vennero ribadite nella sentenza: ‘The respondents’ allegations with regard to the pharmaceutical industry and the TAC are premised upon conjecture and, it seems, are underpinned by a conspiracy involving several players. It is an unlikely scenario and no evidence has been disclosed which supports the respondents’ position on the TAC’s funding. The TAC, on the other hand, has made full disclosure of its income and their source. … The respondents’ allegations are not supported on the available evidence and the contrary appears to be more likely.’
Gli appelli al governo per fermare l’attività dei dissidenti proseguirono, così come i contrasti. Il 25 luglio 2005 venne organizzata una marcia verso l’ospedale di Queenstown per protestare contro il comportamento tenuto dalla polizia verso i dimostranti. Tredici giorni prima, infatti, le forze dell’ordine avevano caricato con gas, manganelli e proiettili di gomma alcuni pacifici dimostranti a Queenstown.
Durante il terzo congresso nazionale della TAC (23-25 settembre 2005), a cui parteciparono 600 delegati, Mbeki venne contestato per le sue dubbie posizioni: a lui venne chiesto di bloccare l’attività dei dissidenti, dichiarare l’AIDS emergenza sanitaria nazionale, raggiungere gli obiettivi dell’Operational Plan, nonché denunciare l’impatto devastante del virus sui diritti umani (soprattutto femminili).
Il 2006 si apre con l’emanazione della costituzione della TAC(24 febbraio),
e con l’esclusione di quest’ultima, da parte del governo, dall’United Nations Special Assembly on AIDS (UNGASS). Unitamente alla TAC, viene esclusa anche l’ALP.
Il caso del momento, però, è quello dei prigionieri del Westville Correctional Centre (WCC). Le condizioni dei carcerati sono pessime e viene negato loro il diritto al trattamento ARV. Infatti, il virus HIV è molto diffuso tra i prigionieri che, per far valere i propri diritti, indicono uno sciopero della fame. Gli attivisti scendono in campo per tutelare i diritti dei carcerati, e il 3 maggio l’alta Corte di Durban è chiamata ad ascoltare questo caso. La disponibilità del trattamento antiretrovirale viene negata loro per due cause: primo, per la difficoltà d’accesso alle strutture sanitarie pubbliche, secondo, per la mancanza del documento d’identità (IDs), richiesto assolutamente dal DOH per qualsiasi tipo di trattamento sanitario. Né i carcerati, né il WCC, dispongono di fondi a sufficienza per ovviare a quest’ultimo problema.
In un meeting di dicembre la TAC, d’accordo con ALP, WCC e DCS (Department of Correctional Services), ha stilato un programma che prevede il trattamento ARV per i prigionieri. Poiché ad aprile il programma non è stato ancora avviato, le associazioni si riuniscono nuovamente il 25 di quel mese. Il DOH e il DCS si assumono la responsabilità dell’implementazione del nuovo programma. Il trattamento verrà fornito immediatamente a 13 prigionieri, i cui documenti verranno resi disponibili temporaneamente e, inoltre, entro 2-3 mesi verranno approntati gli IDs per tutti i prigionieri.
Il governo inspiegabilmente non dà inizio al programma e ricorre in appello contro la sentenza del giudice Pillay del 23 giugno, che invita l’esecutivo ad implementare il progetto. La sentenza è così sospesa.
Nel frattempo la condizione dei prigionieri affetti da HIV, i primi a cui doveva venir applicato il trattamento, peggiora drammaticamente. Si moltiplicano gli appelli al governo affinché la situazione si sblocchi, anche da parte dell’ALP.
Gli attivisti e i prigionieri non possono attendere la sentenza d’appello. Il 20 luglio ricorrono ancora all’Alta Corte e cinque giorni dopo ottengono una vittoria “vitale” nel vero senso della parola, anche se temporanea. Il giudice Pillay ordina l’implementazione del programma entro il 14 agosto, in attesa della sentenza d’appello, e dichiara: ‘One cannot, on the one hand, hail the values of our Constitution which holds the right to life as sacrosanct and on the other, allow people to die in a situation when something can and should be done, certainly more diligently, to counter a pandemic which has been described as an ‘incomprehensible calamity’ and the ‘most important challenge facing South Africa since the birth of our new democracy‘ .
Nonostante ciò, verso la fine di agosto il governo non ha ancora rispettato la decisione della Corte.
Anche sul fronte dei dissidenti i tentativi d’accordo col governo sono falliti, poiché quest’ultimo persiste nel non ostacolare le attività illegali dei “denialists”.
Il 26 aprile 2007, TAC e SAMA citano in giudizio alla corte di Cape Town il governo e Rath, per aver distribuito medicine non registrate, distribuito falsa pubblicità sulle vitamine e creato siti clinici non autorizzati, violando il Medicines Act.
L’ultima “puntata”riguardante il controverso atteggiamento del governo sudafricano nella lotta all’epidemia risale a pochi mesi fa.
Il 9 agosto il presidente Mbeki dimette il vice-ministro della sanità Nozizwe Madlala-Routledge, politico all’avanguardia nella lotta all’AIDS e ai cosiddetti dissidenti. Durante la malattia del ministro Tsabalala-Msimang, Madlala-Routledge ha preso il suo posto a capo del ministero, e l’ha sostituita nel consiglio nazionale istituito per la lotta all’AIDS. Secondo gli attivisti, Madlala-Routledge è stata responsabile della fine di cinque anni di immobilismo da parte del governo, e ha incoraggiato l’estensione della terapia antiretrovirale. Ha contribuito alla creazione di un piano anti-AIDS per il quadriennio 2007-2011, il National Strategic Plan (NSP), i cui obiettivi sono molto ambiziosi: tra questi, entro il 2007, il 70% delle donne incinte deve essere sottoposto al test dell’HIV e il 60% di quelle infette deve ricevere la terapia ARV.
Mbeki ha revocato ufficialmente l’incarico alla Routledge per due visite non autorizzate all’ospedale Frere Hospital di East London, di cui ha denunciato le pessime condizioni di maternità, e per un viaggio in Spagna intrapreso per partecipare ad una conferenza sull’AIDS. Il presidente sostiene che il viaggio non è stato autorizzato dal governo e che, perciò, il vice-ministro ha infranto il protocollo .
Madlala-Routledge, infatti, ha richiesto il permesso per partecipare allo IAVI (International AIDS Vaccine Initiative), e non vi era alcun motivo per cui non doveva esserle concesso. Pensando di aver ottenuto l’autorizzazione, il vice-ministro, accompagnata dal figlio (altro capo d’accusa anche se la presenza di un famigliare è concessa dal protocollo), ha preso il volo per la Spagna. Solo successivamente Mbeki ha negato il premesso alla Routledge che, appresa la notizia, è tornata in Sudafrica senza nemmeno partecipare al meeting. Nonostante ciò, Mbeki ha dimesso il vice-ministro.
La violazione di un protocollo puramente formale, per altro ampiamente discutibile, appare come pretesto finalizzato alla liquidazione di un politico non in linea col governo e, soprattutto, col ministro Tsabalala-Msimang. Il ministro, infatti, non ha affatto gradito le dichiarazioni della Routledge riguardo le condizioni dei due ospedali, sostenendo che il livello di mortalità infantile è in linea coi parametri nazionali.
Gli attivisti hanno immediatamente protestato contro questa decisione, e hanno avviato una campagna a favore della Routledge e del NSP.
La lotta, quindi, continua.